A proposito di un comunicato (a pagamento) di Anact e Anac
29/12/2010

Con un comunicato a pagamento pubblicato su alcuni quotidiani nazionali il 28 e 29 dicembre, l’Anact e l’Anac, le due associazioni maggiormente rappresentative degli allevatori di trotto e di galoppo, denunciano “la morte dell’allevamento italiano del cavallo” addebitandone le responsabilità ai vertici dell’Unire ed al Ministro Galan.
A sostegno di quanto dichiarato vengono fornite informazioni quanto meno imprecise.
- In primo luogo, nel comunicato viene riportato che la voce delle risorse agli allevatori è stata l’unica ad aver subito una riduzione nel bilancio 2010: ciò non è vero. Innanzitutto va precisato che gli allevatori italiani percepiscono sia una consistente percentuale del montepremi (circa il 19%), sia le c.d. “provvidenze”, oggetto della contestata riduzione, il tutto per circa 60 milioni di euro nel 2009. A tale ammontare va sommato ovviamente quanto realizzato in fase di vendita dei cavalli (ciò che in ogni economia di mercato dovrebbe essere il vero frutto dell’investimento).
Precisato questo, va rilevato che le suddette quote di competenza degli allevatori nel bilancio 2010 ammontano comunque, complessivamente, a 46 milioni di euro, a fronte di una generale diminuzione di circa il 10% del montepremi (nell’ambito del quale è compresa la parte più consistente delle risorse destinate agli allevatori), pari, più o meno, a quanto perso dagli ippodromi – a convenzione vigente – in ragione della riduzione degli introiti da scommesse.
La maggiore percentuale di riduzione subita dagli allevatori limitatamente alla voce delle provvidenze va a riequilibrare una situazione di sperequazione assai rilevante verificatasi negli ultimi anni. Basti pensare che dal 2004 ad oggi il montepremi (la vera voce dalla quale trae sostentamento la maggior parte delle 50.000 famiglie citate nel comunicato) si è ridotta di circa il 25%.
- Il sistema delle provvidenze così come concepito ha sollevato dubbi di legittimità in ordine alla sua compatibilità con la normativa comunitaria in materia di aiuti di stato. Le associazioni sono state più volte sollecitate dagli uffici del Ministero delle politiche agricole a fornire il loro contributo per risolvere i citati dubbi.
- Una parte importante delle provvidenze, poi, non va all’allevamento italiano, ma è utilizzata per finanziare operazioni degli allevatori italiani all’estero, talvolta anche in maniera eccessiva e con risultati non rilevanti sotto il profilo qualitativo.
In buona sostanza nessuno, né tanto meno il Ministro, riteniamo, vuole “decretare la morte dell’Allevamento italiano”, ma solo sganciare quest’ultimo da un’ottica assistenzialistica che lo ha caratterizzato negli ultimi anni.
Tutto il Paese sta facendo importanti sacrifici; occorre che anche chi, fino a ieri, è stato (forse eccessivamente) tutelato ritrovi le proprie capacità imprenditoriali per essere competitivo al di fuori di logiche non più proponibili.
L’Unire, d’intesa con il Ministero delle politiche agricole, pur con le difficoltà poste dagli accordi sul patto di stabilità, stava cercando vie alternative per risolvere, quanto meno, la questione per l’anno in corso. Le predette associazioni hanno tuttavia ritenuto di rivolgersi al giudice amministrativo, al quale è rimessa ora la decisione definitiva.