La storia dell'ippica italiana - 2

L’ippica dei giorni nostri è descritta dalla cronaca quotidiana, fatta di calendari di corse, di risultati, di dibattiti sulle prospettive del settore e gli interventi per il suo rilancio. In quest’ultima prospettiva, è quanto mai opportuno guardare alla storia dell’ippica del nostro Paese: non per celebrare il passato (ricchissimo, comunque, di successi sportivi, di eccellenze nell’allevamento, etc.), ma per valorizzare un patrimonio economico e culturale che viene da lontano, dall’alto potenziale, tutt’ora in grado di esprimere valore (e valori).

In questo secondo appuntamento con la Storia dell'Ippica Italiana faremo un breve excursus nel periodo che va dall'inizio del '900 alla fine della seconda guerra mondiale.


2 - L’IPPICA ITALIANA TRA IL 1900 E IL 1945

Manifesto Corse al Trotto del 1904

(Fonte: Museo del Trotto, Civitanova Marche)

Con l’inizio del nuovo secolo si rafforzò la necessità, per gli allevatori, di migliorare la produzione equina, ricorrendo alla importazione di cavalli dall’estero, in modo da poter competere ancora più efficacemente con i campioni di altri paesi.

La prima Guerra mondiale, la Grande Guerra, fece tuttavia registrare necessariamente una battuta d’arresto. I cavalli, come pure gli asini e i muli, furono destinati al settore militare con la conseguente cessazione di ogni attività ippica e la chiusura, da parte di molte scuderie, della loro attività.
Al termine della guerra e grazie alla vendita di purosangue da parte di allevatori francesi, iniziò di nuovo in Italia un serio lavoro di allevamento; in questo periodo arrivò in Italia, tra gli altri, Havresac II, uno stallone che avrebbe fornito un’ottima base genealogica, testimoniata da campioni quali Cavaliere d’Arpino, Nearco, Ribot.
In questo periodo si affermò come specialità ippica il galoppo; il calendario delle corse diventò sempre più denso di eventi e i premi si arricchirono in denaro e a Milano nel 1920, fu inaugurato il nuovo ippodromo di San Siro.

Nel 1919 nacque la Società Incoraggiamento Razze Equine (SIRE), da una trasformazione della Società Lombarda. Grazie alla sua attività, il calendario delle corse per gli ippodromi milanesi si arricchì progressivamente fino ad arrivare, nel 1932, a circa 100 giornate di corse al galoppo con una dotazione di 12 milioni di lire di premi. La SIRE promosse anche il trotto, realizzando gli impianti di Trieste e Bologna. Anche in conseguenza di ciò, si intensificò l’attività di importazione: gli allevatori e i proprietari introdussero trottatori americani, tra cui Hazleton e Guy Fletcher nei loro allevamenti per il miglioramento delle linee di sangue e il potenziamento delle capacità dei prodotti. In ogni caso il numero dei cavalli allevati per le corse nel nostro Paese era insoddisfacente e la produzione nostrana era poco ricercata dal mercato internazionale.

Ippodromo di Modena , 30 aprile 1916. Passaggio del X Gran Premio Allevamento

(Fonte: Museo del Trotto, Civitanova Marche)

Il crollo della borsa americana di Wall Street nel 1929 e la conseguente crisi economica che interessò tutti i mercati internazionali, con pesanti ripercussioni anche negli anni successivi, comportò un ridimensionamento anche per l’Italia in tutti i comparti di attività. Ovviamente pure l’ippica risentì di questa nuova situazione: a Parigi, in occasione dell’Arc de Triomphe del 1932, il volume di gioco diminuì di circa il 25%; in Italia, nel 1929 le scommesse ippiche, che ammontavano ad oltre 30 milioni di lire, scesero a 24 milioni nel 1931, attestandosi a 19 milioni nel 1934 ma, paradossalmente, il pubblico non diminuì. I momenti di svago e di divertimento per gli italiani continuavano ad essere trascorsi presso gli ippodromi sebbene si scommettesse sempre di meno e si levassero voci discordi circa l’utilità del mondo delle corse ippiche e in particolare delle scommesse in un momento di scarse disponibilità finanziarie.

Tra il 1931 e il 1932, alcune società di corse mutarono la loro ragione sociale da società anonime fondiarie a società anonime industriali, al fine di ottenere migliori finanziamenti presso le banche e permettere ai soci la cessione delle azioni. La Società Romana per le Corse di Cavalli e la SIRE ebbero il sostegno, rispettivamente, della Società Anonima Capannelle e l’Anonima Trenno di Milano. Tali modifiche determinarono la razionalizzazione e la modernizzazione del settore ippico, con una netta separazione tra gestione amministrativa e gestione sportiva: le società anonime determinavano i limiti entro cui le società sportive potevano muoversi, incassavano gli introiti e destinavano alle società sportive le dotazioni in premi.

Nonostante queste premesse, il sistema si reggeva esclusivamente sulle scommesse e molte scuderie subirono pesanti contraccolpi economici. Per questo emerse in quegli anni la necessità di creare un ente centrale che coordinasse tutta l’attività ippica nazionale e che si ponesse in maniera razionale ed obiettiva al di sopra delle parti, per impedire privilegi, sperequazioni, antagonismi inutili tra le diverse categorie di operatori.

la prima pagina dell’atto costitutivo dell’UNIRE

Il Regio Decreto del 24 maggio 1932, n. 624 istituì l’UNIRE, ente morale posto sotto il controllo del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste in collaborazione con i competenti organi del Ministero della Guerra, con il precipuo scopo di “uniformare tutte le manifestazioni ippiche del Regno traverso le grandi Società ippiche: Jockey Club, Società degli Steeple-Chases, Unione Ippica Italiana per le corse al trotto e Società per il Cavallo Italiano da Sella”. Un contributo notevole alla sua fondazione fu fornito da Federico Tesio, allevatore di fama internazionale, titolare della scuderia Dormello-Olgiata, il quale reclamava certezze, disposizioni univoche su tutto il territorio nazionale, una riorganizzazione del comparto e un argine contro il potere delle Società che organizzavano e gestivano le corse.

L’assemblea costitutiva del 20 agosto 1932 diede vita all’UNIRE, la cui istituzione affiancò la creazione di altri enti, tra cui l’Istituto Mobiliare Italiano (IMI) del 1931, l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI) nel 1933, finalizzati a risollevare le sorti del paese dalla grave crisi economica internazionale e l’INPS, anch’esso nel 1933, per soddisfare le nuove esigenze di assistenza e previdenza dei lavoratori.

Come risulta dagli atti ufficiali, quel giorno intervennero alla firma il ministro Giacomo Acerbo dell’Aterno, il presidente generale barone Luigi Ajroldi di Robbiate, il rappresentante del Ministero Agricoltura e Foreste prof. Bortolo Majmone, i rappresentanti degli enti ippici barone Alfonso Barracco per il Jockey Club, il maggiore Alessandro Parisi per gli Steeple Chases, il senatore Antonio Vicini per l’Unione Ippica, il tenente colonnello Piero Dodi per il Cavallo Italiano da Sella, i tecnici particolarmente esperti in ippicoltura tenente colonnello Carlo Caputo, Giuseppe Giuli Rosselmini, cavaliere Umberto Jemma, prof. Deodato Meloni, generale Giacomo Papi, Federico Tesio, Tino Triossi, tenente colonnello Bruno Vanzi. Assente il rappresentante del Ministero della Guerra, generale grande ufficiale Aldo Ajmonino. All’incontro erano anche presenti i rappresentanti della Direzione Generale d’Agricoltura, grande ufficiale prof. Mario Mariani, grande ufficiale avvocato Emanuele Cortis, cavaliere ufficiale prof. Vittorino Di Simoni.

In primo piano Federico Tesio

La creazione dell’UNIRE non fece cessare tutti i contrasti tra i due organismi operanti nel settore. La SIRE vide nel nuovo ente pubblico un proprio concorrente; le federazioni ippiche (Jockey Club, Società degli Steeple Chases, Unione Ippica Italiana e Società per il Cavallo Italiano da Sella) temettero di perdere la loro identità; le società di corse furono ridimensionate quanto alla autonomia organizzativa (all’UNIRE venne riconosciuta, infatti, la potestà di nominare i dirigenti delle singole società e modificare gli statuti delle federazioni).

Le prime difficoltà portarono a modificare lo statuto dell’ente già nel 1936, quando le federazioni cambiarono i loro nomi in Ente Nazionale per le Corse in Piano, Ente Nazionale per le Corse con Ostacoli, Ente Nazionale per le corse al Trotto, Ente Nazionale per il Cavallo Italiano e furono poste sotto la vigilanza del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste, vigilanza esplicata attraverso l’UNIRE. Inoltre, i concorsi, il polo, le cacce a cavallo, i corsi di equitazione gestiti fino a quel momento dalla Unione Nazionale per il cavallo da corsa furono assegnate al CONI, Comitato Olimpico Nazionale Italiano, istituito nel 1927, e gestiti attraverso la FISE, Federazione degli Sport Equestri.

Di fronte ad una scarsa produzione allevatoriale, si rendeva necessario ricorrere all’importazione di cavalli da corsa ma la politica autarchica intrapresa dal Fascismo per effetto delle sanzioni da parte della Società delle Nazioni impediva di mettere in atto tale soluzione. Ciò nonostante, alcuni allevatori riuscirono a far giungere in Italia cavalli dagli Stati Uniti, impresa che avrebbe dato i suoi frutti nel futuro.

Il periodo 1930-1938 vide una grande ippica italiana. Nel trotto si affermarono i colori della scuderia di Paolo Orsi Mangelli, ben sette scuderie italiane vinsero altrettante edizioni del Prix d’Amérique che si disputava a Parigi; nel galoppo emersero i campioni di Federico Tesio: Nogara, Donatello II, Tofanella, Nearco, Bellini.

L’entrata in guerra dell’Italia, il 10 giugno 1940, non bloccò le attività sportive, anche se furono annullati tutti gli incontri internazionali e si eliminò ogni carattere mondano delle corse, le quali mantennero un più o meno regolare svolgimento, con i successi di Niccolò dell’Arca (altro fuoriclasse della scuderia di Tesio) e i campioni della scuderia Orsi Mangelli.

Nearco

Donatello II

Nel 1942 il settore fu nuovamente riformato. Con il Regio Decreto 24 marzo 1942, si attribuirono all’Ente, dieci anni dopo la sua istituzione, ulteriori compiti, riservandogli espressamente la facoltà di esercitare totalizzatori e scommesse al libro anche a mezzo di soggetti delegati dall’ente stesso e di destinare i proventi derivanti dalle scommesse, al netto delle spese di organizzazione e gestione delle corse, ad un fondo premi da ripartire fra le società di corse e gli enti ippici. Alla stesura del decreto contribuirono sia Federico Tesio che Paolo Orsi Mangelli (non a caso, il suddetto provvedimento è ricordato come “Legge Orsi Mangelli”).

Nello stesso anno, nel pieno del conflitto bellico Benito Mussolini sospese le attività sportive, tra cui l’ippica; Tesio e Mangelli si opposero ma inutilmente. Del resto, in quel periodo, si poneva, tra l’altro, il problema del reperimento dei mangimi per i cavalli, condizione necessaria per lo svolgimento delle corse e, quindi, per “tenere in vita” le scuderie e il personale che vi lavorava. Paradossalmente furono proprio gli Alleati Tedeschi a trovare una soluzione. In cambio della consegna, nel 1943, di biada, fieno e paglia, i Tedeschi chiesero numerosi cavalli purosangue, con la promessa di riprendere le corse, di evitare le requisizioni e di impedire che il personale di scuderia fosse arruolato nell’esercito o inviato in Germania. Con il baratto di una trentina di purosangue, la promessa fu mantenuta: le corse ripresero il loro svolgimento soprattutto negli ippodromi di Milano e Varese, sebbene l’UNIRE non avesse più fondi per finanziare i premi.

Dopo l’8 settembre 1943, enti e società italiane si trasferirono a Varese e l’UNIRE fece altrettanto. Nel 1945, dopo la liberazione di Roma, l’ippica riprese la sua piena attività, nonostante i gravi danni provocati dalla guerra in alcuni ippodromi, e l’UNIRE, gli altri enti e società tornarono alle loro sedi di origine. L’Italia cominciava una nuova stagione della sua storia (2 – segue).

Maria Luisa Felici

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Storia dell'Ippica Italiana - 1